Incerta l’origine del nome “muletta”, infatti, nonostante l’etimologia rimandi al mondo equino, in realtà non c’è alcun riferimento, considerato che nella preparazione non sono mai state utilizzate carni o budella di mulo o asino.
Sembra dunque che il nome provenga da Trieste, che, in dialetto locale significa “ragazza”: probabilmente, alcuni soldati delle guerre risorgimentali, di ritorno dal fronte orientale, rimasero estasiati dalla soppressa veneta e dalle mule, ovvero le ragazze triestine, a tal punto da voler conservare e tramandare il ricordo in un nuovo salame di produzione piemontese.
La muletta è composta per l’80% di carne suina pregiata e di prima scelta come coscia, culatello della lonza, spalla e fesotto di spalla tritata a grana media e di un restante 20% a base di grasso di pancetta; le due porzioni vengono macinate insieme e condite poi con sale, pepe in polvere bianco e nero, noce moscata e infuso di aglio e vino, generalmente Barbera.
L’impasto viene insaccato nell’intestino cieco del maiale, budello naturale quindi non sintetico. Il salume viene così a prendere una forma irregolare, quasi ovoidale, tozza e dal diametro di circa 10 cm. La muletta è così pronta per essere collocata in una stanza chiamata “asciugamento” per circa una settimana, al termine della quale viene poi trasferita in un altro locale adibito alla stagionatura: qui rimarrà 3-4 mesi, protetta da un microclima ambientale sempre ventilato e fresco, con una temperatura intorno a 12 C° e un tasso di umidità dell’80%.
Si consiglia per consumare questo pregiato prodotto di tagliarlo in fette molto sottili circa mezz’ora prima del consumo, in modo che possa ossigenarsi ed esaltare così al meglio il suo gusto delicato e leggermente speziato. Agli inizi del novecento era servito con un ricciolo di burro.
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